Benvenuti nel sito di Giuseppe Pungitore, dell'ing. Vincenzo Davoli, di Mimmo Aracri ed Antonio Limardi, punto d'incontro dei navigatori cibernetici che vogliono conoscere la storia del nostro meraviglioso paese, ricco di cultura e di tradizioni: in un viaggio nel tempo nei ruderi medioevali. Nella costruzione del sito, gli elementi che ci hanno spinto sono state la passione per il nostro paese e la volontà di farlo conoscere anche a chi è lontano, ripercorrendo le sue antiche strade.

PREDICA DI PASSIONE (anno 2003)
 
Sacerdote: Il Signore sia con voi.

Assemblea: E con il tuo spirito.

 

Sacerdote. Preghiamo insieme:

 

Tutti: O Signore Gesù, il peso delle nostre ricadute nel pec­cato, del nostro attaccamento al male, della nostra durezza di cuore si abbatte su di te e ti schiaccia.

Ma tu non ti lamenti, tu vivi il tuo cammino doloroso come un’offerta a Dio per la salvezza di tutti.

Davvero misteriosa è la tua passione, o Cristo Gesù. Tu hai condiviso le nostre sofferenze, ti sei impos­sessato dei nostri dolori e li hai portati sulle tue spalle.

O Signore Gesù, tu pendi dalla croce. Ti ci hanno in­chiodato. Non puoi più staccarti da questo palo ritto tra la terra e il cielo. Le ferite bruciano nel tuo corpo. La corona di spine tormenta il tuo capo. I tuoi occhi sono iniettati di sangue. Le tue mani e i tuoi piedi fe­riti sono come trapassati da un ferro rovente. E la tua anima è un mare di dolore, di desolazione. I responsabili di tutto questo sono qui, siamo noi tutti!

O Signore, concedici in questo venerdì santo di guar­dare te, il tuo cuore trafitto. Concedici che i nostri occhi e il nostro spirito possano contemplare il vero Salvatore: te!

Perdonaci, Signore, per il dolore che abbiamo provo­cato a Te e alla tua cara Mamma. Aiutaci a capire, aiutaci a seguirti, aiutaci a vivere. Amen.

 

Vi sono tre elementi che, alleandosi, creano un grande messaggio:

il pulpito, gli ascoltatori e la verità.

Queste tre cose erano presenti nei due messaggi più importanti della vita di Cristo Salvatore, il primo e l'ultimo che egli donò al mondo.

1)             Il pulpito del suo primo messaggio erano i monti.

2)             Gli ascoltatori erano gli illetterati Galilei.

3)             La sua verità, le beatitudini.

L'ultimo messaggio che Egli consegnò al mondo fu pronunciato dal pulpito della croce;

i suoi ascoltatori erano gli scribi e i farisei che lo bestemmiavano, i sacerdoti del tempio che lo deridevano, i soldati romani che tiravano a sorte le sue vesti, pochi timidi discepoli pieni di paura: Maddalena con il suo pianto, Giovanni con il suo amore, e Maria, con la sua afflizione di madre.

La predica che questo pubblico ascoltò, dal pulpito della croce, sono le famose sette parole, il testamento di un Salvatore che, morendo, sconfisse la morte.

Per la seconda volta vi ripropongo questa profonda, intensa meditazione, con la speranza che penetri nel profondo della vostra mente e del vostro cuore.

Nei quattromila anni di storia giudaica, vengono ricordate le ultime parole di tre uomini soltanto: Giacobbe-Israele, Mosè e Stefano. Forse, il motivo di questo, sta nel fatto che nessun altro è stato considerato così importante e significativo.

- Israele era stato il primo israelita;

- Mosè, il primo sotto la Legge;

- Stefano, il primo martire.

Con le ultime parole di ognuno di loro ha inizio qualcosa di sublime nella storia del rapporto di Dio con gli uomini.

Non così per le ultime parole di Pietro, di Paolo o di Giovanni, che non sono entrate a far parte della nostra tradizione spirituale.

Ancor’oggi, il cuore dell'uomo desidera vivamente conoscere i pensieri e lo stato d'animo, vissuti in quel momento così comune e tuttavia così misterioso, che si chiama morte.

Nella sua bontà, Nostro Signore, morendo, ha voluto lasciarci i suoi ultimi pensieri; egli rappresenta l'umanità ancor più di Israele, di Mosè e di Stefano.

 

In quest'ora sublime, dunque, egli chiama tutti i suoi fratelli al pulpito della croce, e ogni sua parola viene trascritta, perché possa essere conosciuta eternamente ed eternamente consolare.

·     Non vi è mai stato un predicatore come il Cristo morente.

·     Non vi è mai stata un'assemblea come quella che si radunò ai piedi della Croce.

·     Non è stata mai pronunciata una predica come quella delle ultime sette parole.

Esse vennero accolte dai numerosi ascoltatori e poi diffuse in tutto il mondo.

Questa sera vogliamo soffermarci su queste intramontabili parole, e per farlo vogliamo avere dinanzi agli occhi il pulpito da dove Cristo le ha pronunciate, il “sommo supplizio” come definì la croce Cicerone.

Pertanto, gridiamo: VIENI, O CROCE SANTA!

 

Salute a te, o Croce, speranza unica!

Signore Gesù, noi ci prostriamo davanti alla tua croce benedetta.

CI S'INGINOCCHIA PER UNA BREVE PAUSA, quindi, assieme, si recita la seguente preghiera:

E' una vecchia amica per te, o Signore, questa croce che i soldati ti hanno messo come giogo sulle spalle; tu l'abbracci con ferma decisione: liberamente e per amore!

La croce non è un'apparizione improvvisa sulla strada della tua vita; tu sei il crocifisso, tu sei l'uomo della croce: da secoli tu cammini davanti a tutti con la croce sulle spalle.

Una croce pesante su cui gravano i peccati dell'intera umanità; una croce immensa che raccoglie le croci di tutti gli uomini: l'angoscia dei bambini che muoiono di fame, l'avvilimento di quanti non trovano lavoro, la sofferenza di coloro che portano handicap insuperabili, il grido degli oppressi, lo strazio di chi è afflitto da malattie incurabili, il rantolo dei moribondi...

Facci sentire di nuovo, o Signore, l'implacabile e dolce parola: «chi vuol venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua». Forse, oggi, riuscirà a convertire i nostri cuori. E, rientrati nelle nostre case, forse, sapremo accettare meglio le piccole croci di ogni giorno.

 

CANTO

 

LA PRIMA PAROLA

“Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno”.

§       Le sue prime parole sono state rivolte ai suoi nemici: «Padre, perdonali...»;

§       le seconde, ai peccatori: «oggi sarai con me nel paradiso»;

§       le terze, ai santi: «Donna, ecco tuo figlio...».

Nemici, peccatori e santi: questo è l'ordine dell'Amore divino.

§       Gli spettatori aspettavano che Gesù pronunziasse improperi, maledizioni…

§       I suoi carnefici aspettavano le sue grida, come avevano fatto tutti coloro che erano stati appesi alla croce prima di lui.

Seneca racconta che coloro che venivano crocifissi maledivano il giorno della loro nascita, i loro carnefici, le loro madri; sputavano persino su chi li guardava.

Cicerone ci dice che a volte era necessario tagliare ai condannati la lingua, per frenare le loro terribili bestemmie.

Quindi, i carnefici di Gesù si aspettavano di udire un grido, ma non certo quel tipo di grido che di fatto udirono.

Anche gli scribi e i farisei si aspettavano delle grida ed erano sicuri che Gesù, che pur aveva predicato l'amore persino verso i nemici, sarebbe crollato quando gli sarebbero stati forati le mani ed i piedi.

Pensavano che la terribile e straziante sofferenza avrebbe disperso al vento la forza d'animo di Gesù.

Tutti, insomma, si aspettavano di sentirlo gridare, ma nessuno, ad eccezione dei tre ai piedi della croce, pensava di ascoltare quel grido, o meglio, quella supplica: «Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno».

Perdonare chi?

-        Il soldato nel palazzo di Caifa, che lo schiaffeggiò?

-        Pilato, l'uomo politico che preferì condannare Dio, per poter rimanere amico di Cesare?

-        Erode, che avvolse la Sapienza con il manto della stoltezza?

-        I soldati che innalzarono il Re dei re su di un albero, fra cielo e terra?

Perdonarli? Perché?

Perché sanno quello che fanno? No, perché non sanno quello che fanno!

·     Se avessero saputo quello che stavano facendo e tuttavia avessero persistito nel farlo;

·     se avessero saputo quale terribile crimine stavano commettendo, condannando la Vita a morte;

·     se avessero saputo quale perversione della giustizia era stata quella di avere scelto Barabba al posto di Cristo;

·     se avessero saputo che crudeltà era quella di prendere quelle mani e quei piedi per inchiodarli su di un albero;

·     se solo avessero saputo ciò che stavano facendo, e tuttavia avessero persistito nel farlo, non sarebbero mai stati salvati! Perché?

Perché se non fossero stati ignari di quanto terribile fosse quell'azione che stavano commettendo, crocifiggendo Cristo, sarebbero stati dannati eternamente!

·       Allo stesso modo, se noi sapessimo che cosa terribile sia il peccato, e, malgrado ciò, continuassimo a peccare;

·       se sapessimo quanto amore espiatorio ci sia stato nel sacrificio sulla croce, e malgrado ciò, continuassimo a rifiutare di riempire il calice del nostro cuore con il suo amore;

·       se sapessimo quanta misericordia vi sia nel sacramento della confessione, e malgrado ciò, continuassimo a rifiutarci di piegare le ginocchia per essere sciolti dai nostri peccati;

·       se sapessimo quanta vita ci sia nell'Eucaristia, e malgrado ciò, continuassimo a rifiutarla; 

·       se conoscessimo tutta la verità che si trova nella Chiesa, il corpo mistico di Cristo, e malgrado ciò, le voltassimo le spalle, come fece Pilato;

·       se fossimo veramente consapevoli di tutte queste cose, e tuttavia rimanessimo lontani da Cristo e dalla sua Chiesa, saremmo perduti!

Non è la conoscenza che ci salva, ma l'ignoranza!

L'unica cosa che può giustificarci di non essere dei santi, è la nostra inconsapevolezza di quanto sia buono Dio!

        Se Giuda avesse capito di avere di fronte l’autore della vita, non avrebbe detto: “Colui che io bacerò, è lui”; e, forse, Cristo non gli avrebbe detto: “Amico mio, perchè sei qui?”.

Giuda tradisce perchè non sa, Giuda tradisce per ignoranza.

Infatti, dopo la condanna a morte di Gesù, preso da rimorso, restituì ai gran sacerdoti i 30 pezzi d’argento, dicendo: “Ho peccato, tradendo il sangue innocente”, e si allontanò, e andò ad impiccarsi.

Credo che Cristo abbia perdonato anche Giuda.

 
CANTO

 

LA SECONDA PAROLA

“Oggi sarai con me nel paradiso”

Secondo una leggenda, durante la fuga in Egitto per sfuggire all'ira di Erode, Giuseppe e Maria, con il fanciullo divino, si fermarono in una sperduta locanda.

La Vergine Madre chiese alla padrona della locanda dell'acqua per lavare Gesù.

Quindi, quella donna chiese a Maria di poter bagnare il proprio figlioletto, che era lebbroso, con l'acqua in cui aveva lavato Gesù.

Appena il piccolo lebbroso toccò quell'acqua, fu guarito.

Il piccolo crebbe, ma divenne un ladro. Il suo nome era Dimas e fu crocifisso a lato del Signore.

Non sappiamo se, durante l'agonia sulla croce, Dimas ricordò questa storia della sua infanzia, o se riconobbe Gesù.

Comunque siano andate le cose, ora, appeso alla croce, crede in Gesù: «Signore, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno».

Gesù era stato finalmente riconosciuto per ciò che era!

Fra il clamore della folla delirante e il tetro sibilo del peccato universale, in quella terribile e folle rivolta dell'uomo contro Dio, nessuna voce si era elevata in riconoscimento e lode, ad eccezione di quella di un condannato a morte.

Era un grido di fede in colui che era stato abbandonato da tutti, ed era la testimonianza di un ladro.

·     Se il figlio della vedova di Naim, che era stato risuscitato dai morti, avesse gridato una parola di fede in Gesù;

·     se Pietro, che era stato testimone della Trasfigurazione del Maestro, lo avesse confessato come Signore;

·     se il cieco di Gerico, che aveva riavuto la vista, avesse proclamato la sua divinità, non ne saremmo sorpresi.

Perché, se solo uno di essi avesse gridato la sua fede, forse, i suoi timidi discepoli e i suoi amici si sarebbero rianimati, forse, gli scribi e i farisei gli avrebbero creduto!

Ma in quel momento, quando la morte era ormai prossima e la sconfitta sembrava evidente, l'unico, al di fuori del piccolo gruppo ai piedi della croce, che lo riconobbe come Signore del Regno, era un ladro, crocifisso alla sua destra.

Nel momento in cui fu data la testimonianza del ladro, il Signore stava vincendo la più grande battaglia della sua vita.

In questo giorno, in cui nemmeno Erode, con tutta la sua corte, era riuscito a farlo parlare, né le potenze di Gerusalemme a farlo scendere dalla croce; in questo giorno, in cui neppure la folla che lo scherniva dicendo: «Hai salvato gli altri, ora salva te stesso!» era stata capace di ottenere una risposta, ora egli rompe il silenzio, volgendosi a quella vita trepidante al suo fianco, e così salva il ladro, dicendogli: “Oggi sarai con me nel paradiso”.

Nessuno, prima di lui, aveva ricevuto una tale promessa, neanche Mosè, Giovanni, la Maddalena, nemmeno Maria. Era l'ultima preghiera di un ladro, e forse anche la prima. Bussò una sola volta, una sola volta cercò e chiese, e in un'unica volta ottenne tutto.

        Dove potremmo trovare una dimostrazione più eloquente della misericordia di Dio? La pecorella ritrovata, il figliol prodigo, la Maddalena pentita, i ladroni perdonati!

La nostra salvezza preme più a Dio che a noi stessi.

Quanto gli costò salvarci:

-        l’essere definito bugiardo e pazzo,

-        l’essere rinnegato e tradito,

-        l’essere abbandonato e incompreso,

-        l’essere sputacchiato, deriso, calpestato...

Povero Cristo:

-        la sua carne, lacerata dalla inumana flagellazione,

-        il suo volto appena riconoscibile, tutto gonfio per le percosse subite,

-        sporco di polvere,

-        bagnato di sudore, di sangue, di pus.

-        E, a completamento di ciò, la corona di spine!

Era talmente sfigurato, da non sembrare più un uomo!

Il re dei re, costretto a subire il processo, ad essere sballottato a destra e a sinistra: da Anna viene portato a Caifa, da Caifa a Pilato, da Pilato ad Erode e da questi ancora una volta a Pilato.

E calci si susseguono a calci, sputi si susseguono a sputi; e insulti, pugni e flagellazioni.

Povero Gesù, com’era ridotto! Tutto un livido!

“Ecco l’uomo!”, disse Pilato.

(Si aspetta che venga portata la statuetta dell’Ecce Homo, quindi…)

-        Ecco Colui che ha insegnato il perdono!

-        Ecco Colui che ha detto che bisogna amare anche i propri nemici!

-        Ecco Colui che ha guarito i lebbrosi!

-        Ecco Colui che ha dato la vista ai ciechi, l’udito ai sordi!

-        Ecco Colui che ha liberato gli indemoniati da crudeli e indicibili sofferenze!

-        Ecco Colui che ha ridato la vita ai morti!

-        Ecco Colui che, da forte, si è presentato debole, da ricco, povero, da Creatore, creatura.

-        Ecco l’Uomo che ha ridato fiducia all’uomo!

-        Ecco l’Uomo che ha spalancato le porte del paradiso al peccatore pentito.

-        Ecco l’Uomo dei dolori!

La sua colpa? Essersi definito figlio di Dio!

E Pilato, per placare il suo senso di colpa, presa dell’acqua, si lavò le mani davanti alla folla dicendo: “Non sono responsabile di questo sangue; vedetevela voi!”.

 

CANTO

 

LA TERZA PAROLA

“Donna, ecco tuo figlio”.

Un angelo splendente lasciò il grande Trono della Luce e discese sulle pianure di Esdrelon, e, ignorate le figlie dei grandi regni e imperi,

discese là dove si trovava un'umile vergine in preghiera, e le disse:

«Salve, piena di grazia!». Maria pronunciò il suo sì generoso, incondizionato, e “il Verbo si fece carne”.

        Nove mesi dopo, un angelo luminoso discese di nuovo, dal grande Trono della Luce, su dei pastori che si trovavano fra le colline della Giudea, e insegnò loro la gioia del Gloria in excelsis, invitandoli ad andare ad adorare un «bimbo avvolto in fasce che giace in una mangiatoia».

L'Eterno era divenuto tempo, la Divinità si era incarnata, Dio si era fatto uomo; l'Onnipotenza si era fatta impotente.

 

-        Possiamo immaginare il bimbo divino, nella bottega di Giuseppe, suo padre putativo, costruire una piccola croce, anticipazione di quella grande croce che un giorno sarebbe stata sua sul Calvario.

-        Possiamo immaginare sua Madre percepire in ogni chiodo il ricordo di quella profezia, secondo la quale gli uomini avrebbero inchiodato sulla croce colui che aveva creato l'universo.

 

Da Nazaret al Calvario, dai chiodi della bottega di un falegname a quelli della malvagità umana.

E fu proprio dalla croce che egli portò a compimento la sua volontà e il suo testamento.

Aveva già donato il suo sangue alla Chiesa, le vesti ai nemici, il paradiso a un ladro e presto avrebbe abbandonato il suo corpo alla tomba e la sua anima al Padre eterno.

        A chi, dunque, avrebbe potuto donare i suoi due tesori più grandi e più amati, Maria e Giovanni? Li avrebbe donati l'uno all'altra, un figlio a sua Madre e la Madre all'amico: «Donna, ecco tuo figlio!».

-Maria aveva dato alla luce il suo bimbo senza dolori di parto, nella grotta di Betlemme;

-adesso dà alla luce il suo secondogenito, Giovanni, tra i dolori del Calvario.

Solo adesso Maria sperimenta i dolori del parto, non solo nel dare alla luce Giovanni, ma anche nel dare alla luce tutti coloro che, nel tempo e nello spazio, sarebbero nati da lei come «figli suoi».

Ora possiamo capire perché Gesù fu chiamato suo «primogenito».

Non perché Maria avrebbe avuto altri figli secondo la carne e il sangue, ma perché avrebbe partorito altri figli attraverso le doglie del suo cuore.

La condanna divina inflitta a Eva è ora rinnovata in Maria, la nuova Eva, poiché essa partorisce i suoi figli con dolore.

Maria, quindi, non è soltanto la madre di Gesù Cristo, ma è anche madre nostra.

Questo non le è dato semplicemente come titolo di cortesia; non si tratta nemmeno di una finzione giuridica o di un linguaggio figurato.

Siamo veramente figli suoi e lo siamo a pieno diritto, poiché essa ci ha partoriti nel dolore ai piedi della croce.

All'ombra dell'albero del bene e del male, Eva aveva perso il titolo di Madre dei viventi, a causa della sua debolezza e della sua disobbedienza.

Ora, invece, ai piedi dell'albero della croce, Maria, grazie al suo coraggioso sacrificio e alla sua fedele obbedienza, ha riacquistato il titolo di Madre dei viventi.

Che destino meraviglioso avere come madre la Madre di Dio e come fratello Gesù, figlio di Dio, Dio stesso!

 

(Canto: O fieri flagelli, 1^ strofa)

 

LA QUARTA PAROLA

Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”

Le prime tre parole pronunciate dal pulpito della croce, come vi ho detto nella premessa, erano dirette alle tre categorie predilette da Dio: nemici, peccatori e santi.

Le prossime due parole lasciano invece intravedere il dolore dell'Uomo-Dio sulla croce:

-        la quarta parola simboleggia le sofferenze di coloro che si sentono abbandonati da Dio;

-        la quinta parola simboleggia le sofferenze di Dio abbandonato dall'uomo.

Quando il Signore pronunciò la quarta parola dalla croce, si fece buio su tutta la terra.

Si pensa comunemente che la natura rimanga indifferente dinanzi al dolore dell'uomo.

-        Una nazione può morire di fame, eppure il sole e le stelle continuano a volteggiare sui campi inariditi.

-        L'uomo può levarsi contro suo fratello in una guerra fratricida e trasformare i campi di fiori in campi di sangue, ma un uccello, scampato al fuoco e al furore della battaglia, canta la sua dolce melodia di pace.

-        I nostri cuori possono spezzarsi dal dolore per la morte di un familiare o di un carissimo amico, tuttavia l'arcobaleno continua ad apparire festoso nel cielo con i suoi colori sgargianti.

Ora, però, che Cristo è morto, il sole si rifiuta di brillare! Forse, per la prima e ultima volta, la luce che governa il giorno si spegne come una candela, sebbene, secondo le previsioni umane, avrebbe dovuto continuare a brillare.

La ragione di tutto questo, sta nel fatto che, davanti a quell'atto supremo dell'iniquità dell'uomo, cioè l'uccisione del Creatore della natura, la stessa natura non poteva rimanere indifferente.

Se l'animo del Signore si trovava nell'oscurità, allora, anche il sole, che egli aveva creato, doveva esserlo. In realtà, tutto era nell'oscurità! Egli si era privato di sua Madre e del suo discepolo amato, donandoli l'uno all'altra, e ora anche suo Padre, nei cieli, lo aveva abbandonato. «Elì, Elì, lamà sabactàni». «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?»: è il pianto, in quel misterioso linguaggio degli Ebrei, che esprime il terribile mistero di un Dio abbandonato da Dio stesso. Il Figlio chiama suo Padre, Dio.

Che contrasto con quella preghiera che egli un giorno aveva insegnato: «Padre nostro, che sei nei cieli...”!

Stranamente e misteriosamente, la sua natura umana sembra separarsi dal Padre celeste, eppure non è così: come potrebbe, altrimenti, invocarlo, dicendo: «Dio mio, Dio mio»?

Come la luce e il calore del sole sembrano scomparire, quando si frappongono le nuvole, così è ora per Gesù: il volto del Padre celeste sembra scomparire, in quel terribile momento in cui egli prende su di sé i peccati del mondo.

Gesù assume questa sofferenza per ognuno di noi, perché possiamo capire quanto terribile sia, per la natura umana, essere privati di Dio, della sua consolazione e salvezza.

Era l'atto supremo di espiazione per tre classi di persone:

-        per coloro che abbandonano Dio,

-        per coloro che dubitano della presenza di Dio,

-        e per coloro che sono indifferenti nei confronti di Dio.

Gesù stava espiando per tutte quelle domande accattivanti di un mondo che, continuamente, si chiede:

- «Perché esiste il male

- «Perché Dio non risponde alle mie preghiere

- «Perché Dio si è portato con sé mia madre, mio figlio, mio fratello

- «Perché... perché?».

L'espiazione per tutte queste domande si compì nel momento in cui Cristo stesso chiese un perché a Dio.

·     Era l'espiazione per tutta l'indifferenza di un mondo, che vive come se non ci fossero mai state una mangiatoia a Betlemme e una croce sul Calvario;

·     per tutti coloro che giocavano a dadi mentre si stava consumando il dramma della redenzione;

·     per tutti coloro che si sentono degli dèi, dei superuomini, al di sopra di ogni dovere, di ogni religione, di ogni rito, credendosi privi di ogni legame.

Penso che, dopo questi duemila anni, l'indifferenza del mondo moderno sia più dolorosa delle pene del Calvario.

Non bisogna credere che la corona di spine e il metallo dei chiodi fossero più terribili, per il corpo del Nostro Salvatore, dell'indifferenza dilagante oggi, quella indifferenza che ti porta ad essere nè caldo nè freddo, nè amico nè nemico, dimenticando le parole del Cristo: “O con me o contro di me!”.

 

(Canto: O fieri flagelli, 2^ strofa)

 

LA QUINTA PAROLA

“Ho sete”.

Fra le cinque parole già meditate, questa è la più breve. A differenza della nostra lingua che riporta due parole, in quella originale è una sola, sitio.

 

Nel momento in cui il nostro Salvatore ricapitola il suo sermone,

-        non maledice chi lo sta crocifiggendo,

-        non rimprovera i timidi discepoli ai margini della folla,

-        non disprezza i soldati romani,

-        neppure incoraggia Maria Mad- dalena,

-        non pronuncia parole d'amore al suo discepolo prediletto,

-        né parole d'addio alla sua amatissima Madre.

In quel momento non si rivolge nemmeno a Dio! Una sola parola affiora dagli abissi del suo cuore e attraversa le sue labbra riarse: «Ho sete». Lui, Dio fatto uomo, che aveva lanciato le stelle nelle orbite dell'universo e le sfere celesti nello spazio, lui che disse: «Mio è il mare e i fiumi e le sorgenti che sgorgano tra le innumerevoli colline», proprio Lui, ora, chiede all'uomo dell'acqua!

Ma non chiede acqua che sgorga copiosa dalla fonte, acqua naturale che disseta il corpo, chiede semplicemente un pò d'amore!

E’ come se dicesse: “Ho sete... d'amore!”.

·     L'ultima parola rivelava la sofferenza dell'uomo senza Dio;

·     questa parola rivela la sofferenza di Dio senza l'uomo.

Ma cosa ha fatto Gesù, per sentirsi tanto in diritto di chiedere il nostro amore? Quanto, in definitiva, Dio ci ha amato?

Per darci una risposta esaudiente è necessario scavare dentro, far risuonare la parola “amore” dalle profondità del suo significato, così spesso frainteso.

·     Amore vuole dire prima di tutto dare, e Dio ha dato il suo potere al nulla, la sua luce all'oscurità, il suo ordine al caos: è la Creazione.

·     Amore significa rivelare se stessi a chi si ama, e Dio, attraverso le Scritture, ci ha rivelato la sua natura e le grandi speranze che egli nutre per l'umanità caduta: è la Rivelazione.

·     Amore significa soffrire per chi si ama; per questo si parla di frecce e di dardi d'amore, cioè di qualcosa che ferisce, e ora Dio sta soffrendo per noi sull'albero della croce, poiché “nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici”.

·     Amore significa anche diventare uno con chi si ama, non solo nell'unità della carne, ma soprattutto nell'unità dello spirito, e Dio ci ha amato tanto da istituire l'Eucaristia, affinché noi possiamo rimanere in lui e lui in noi, nell'ineffabile unione del Pane di vita.

·     Amore vuol dire desiderare di rimanere eternamente con chi si ama, e Gesù ci ha amato tanto da prometterci una dimora con il Padre, dove regnano una pace e una gioia che il mondo non può dare e il tempo non può portare via: è il paradiso.

Certamente Cristo ha dimostrato il suo amore al massimo; non avrebbe potuto fare di più e meglio!

Avendo versato tutta l'acqua del suo amore eterno nei nostri poveri e aridi cuori, non ci meravigli che ora sia tanto assetato di amore.

Se amare significa reciprocità, allora egli ha tutto il diritto al nostro amore!

 

(O fieri flagelli, 3^ strofa)

 

LA SESTA PAROLA

“Tutto è compiuto”.

Dall’inizio Dio volle fare l'uomo a immagine e somiglianza del suo Figlio diletto. Dopo aver dipinto i cieli di azzurro e la terra di verde, Dio creò un giardino stupendo, come solo lui poteva fare. Lì vi pose l'uomo, fatto a immagine di suo Figlio. Però, in un modo strano e misterioso, la ribellione di Lucifero riecheggiò sulla terra e l'immagine di Dio nell'uomo si sbiadì e si rovinò. Il Padre celeste, nella sua infinita misericordia, volle ripristinare nell'uomo la sua antica gloria.

Per far sì che il ritratto potesse essere fedele all'originale, Dio volle mandare sulla terra suo Figlio, secondo la cui immagine egli aveva fatto l'uomo: in questo modo la terra avrebbe potuto vedere di nuovo come Dio aveva voluto che l'uomo fosse. Nella realizzazione di quest'opera, l'Onnipotenza divina poté far uso, come solo Dio poteva fare, di quegli elementi che erano serviti nella sconfitta, trasformandoli in strumenti di salvezza.

Sicchè, gli stessi tre strumenti che avevano cooperato alla nostra caduta furono usati per la nostra redenzione.

1.             Al posto dell'uomo disobbediente, Adamo, egli pose l'uomo obbediente, Gesù;

2.             al posto della donna orgogliosa, Eva, egli pose un'umile vergine, Maria;

3.             al posto dell'albero, nel mezzo del giardino, egli pose l'albero della croce. La Redenzione era ora completa.

Il lavoro che il Padre gli aveva dato era stato compiuto. Così siamo stati comprati e pagati a caro prezzo.

Siamo stati riscattati, grazie a una battaglia, in cui non furono usate le cinque pietre, che servirono a David per uccidere Golia, ma le cinque piaghe, le orribili ferite inflitte sulle mani, sui piedi e nel costato di Gesù.

Una battaglia in cui non fu usata un'armatura luccicante, sotto i raggi del sole di mezzogiorno, ma la carne appesa come uno stendardo rosseggiante sotto un cielo tenebroso.

Una battaglia il cui grido non era: «Schiaccia e uccidi», ma: «Padre, perdonali».

Una battaglia in cui non furono usate delle punte d'acciaio, ma gocce di sangue.

Una battaglia in cui il perdente fu colui che uccise il nemico.

Ora questa battaglia era terminata.

Durante le ultime tre ore, Gesù si era occupato particolarmente delle cose del Padre suo, e così dice: «Tutto è compiuto».

Il suo lavoro era giunto a compimento, ma il nostro?

Solo Dio può permettersi di usare quella parola, noi no!

o      Cristo ha costruito le fondamenta, noi dobbiamo edificarci sopra.

o      Il Signore è alla porta e bussa, ma la maniglia è solo dal nostro lato e solo noi possiamo aprirla.

o      Gesù ha operato la consacrazione, spetta a noi fare la comunione.

Solo da noi dipende il compimento dell'opera che ci è stata affidata,

dalla nostra capacità di adeguarci alla sua vita, diventando altri «Cristi». Infatti, il suo venerdì santo e la sua passione non potranno giovarci, se non prendiamo la sua croce e lo seguiamo.

Il peccato è l'impedimento più grande al compimento di quest'opera, e, finché regnerà il peccato nel mondo, Cristo continuerà a essere crocifisso nei nostri cuori.

 

(O fieri flagelli, 4^ strofa)

 

LA SETTIMA ED ULTIMA PAROLA

Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito”.

Quando Adamo fu cacciato dal paradiso terrestre, dopo essergli stato imposto il castigo del lavoro, vagava in cerca del cibo che doveva guadagnarsi con il sudore della fronte.

Durante la sua ricerca, inciampò sul corpo senza vita di suo figlio Abele. Allora lo sollevò, se lo mise sulle spalle e lo depose sulle ginocchia di Eva. Per quanto Adamo ed Eva parlassero al figlio Abele, questi non rispondeva. Alzarono allora la sua mano, ma questa ricadde inerte sul grembo della madre. Lo guardarono negli occhi: erano freddi, vitrei. Allora si chiesero cosa fosse successo, ma non sapevano darsi alcuna risposta.

Ricordarono quindi le parole: «Dall'albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, quando tu ne mangiassi, certamente moriresti». Quella di Abele fu la prima morte nel mondo!

I secoli trascorrono e il nuovo Abele, Cristo, viene condannato a morte dai fratelli della razza di Caino, accecati dalla gelosia.

La sesta parola di Gesù era stata retrospettiva: «Tutto è stato compiuto. Ho finito l'opera che il Padre mi aveva dato».

La sua settima e ultima parola è rivolta invece verso il futuro: «Nelle tue mani consegno il mio spirito».

·     La sesta parola era per il mondo, la settima, per il Padre.

·     La sesta parola era un addio al mondo, la settima segna il suo ingresso nel paradiso.

Gesù ha terminato il suo lavoro, ha completato il suo percorso, e ritornando al Padre, lo saluta dicendo: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito». La morte di Cristo è il prezzo del nostro riscatto.

Ci ha riscattato: da chi e da che cosa?  Dalla schiavitù del male.

Ma, che cos’è il male? Anzitutto è una persona. Il male è uno: Satana. Una terribile persona: un angelo perduto per sempre.

Noi non sappiamo bene quale sia la potenza degli angeli. Certo è più grande, incomparabilmente più grande della nostra. Gli Angeli sono immensamente più intelligenti di noi.

Eppure, per questa scintilla d’intelligenza che l’uomo possiede, guardate quello che ha saputo fare!

·     L’oratoria di Demostene e di Cicerone;

·     la poesia di Dante e di Manzoni;

·     la musica di Beethoven e di Ciaikovski;

·     la pittura di Giotto e Caravaggio;

·     la scultura di Donatello, Michelangelo e Canova…;

guardate,  per questa scintilla d’intelligenza, come l’uomo ha saputo modificare il mondo e dominare la materia:

-l’energia elettrica e quella termonucleare, la radio, la televisione…

-i viaggi sulla luna e la conquista dello spazio.

Satana è un puro spirito, è un’intelligenza molto superiore alla nostra. Che cosa non potrebbe fare questo malvagio, ribelle e odiatore di Dio e di tutti quelli che Dio ama? Fu lui che, perfidamente, sedusse Adamo ed Eva. Con astuta menzogna disse loro che, disubbidendo a Dio, sarebbero diventati uguali a lui. E loro credettero più a Satana che a Dio! E così si scardinarono dal loro posto, e precipitarono nella schiavitù del male. Il male - e lo sentiamo - non solo è una persona: ci sono anche i guasti che tale persona, Satana, ha operato dentro di noi.

Questi guasti sono elementi che ormai sentiamo nostri - sono dentro di noi -, e c’impediscono di essere noi stessi.

Anzi, ci sospingono, c’incatenano per indurci ad essere sempre meno “noi”. In questa situazione ostile, che ci accerchia da ogni parte, come l’apostolo Paolo, dobbiamo chiederci: “Chi ci libererà dal tiranno e dal suo nefasto influsso?”. C’è una sola risposta: Gesù Cristo.

E allora, per dimostrargli il tuo affetto ed il tuo proposito di vivere di lui, con lui e per lui, avvicinati all'altare per baciare il Crocifisso: Gesù, morto per te!

Mentre deporremo il nostro piccolo ma sincero bacio sulla guancia, o sul costato, o sui piedi di Gesù, Lui ci ricambierà con il Suo grosso bacio, a garanzia del Suo infinito amore per noi.

Crediamo a questo bacio e custodiamolo gelosamente nell’animo, perchè ci sia d’incoraggiamento e di conforto soprattutto nei momenti bui della nostra vita.

 

SI BACIA IL CRISTO MORTO

CANTO: La tua Croce.

 

Dopo aver baciato il Crocifisso

Gesù, prima di esalare l’ultimo respiro, ci ha voluto fare dono della persona più cara, la sua dolce Mamma che era ai piedi della croce.

Fra poco il nuovo Abele, ucciso dai suoi fratelli, sarà calato giù dal patibolo della salvezza e adagiato sulle ginocchia della nuova Eva.

E’ venuta l’ora: Cristo è morto! E’ venuta l’ora che il corpo del caro Gesù sia affidato alla cara Madre.

 

VIENI, Madre di Cristo e Madre nostra,

Ø    vieni nel nostro cuore,

Ø    vieni nelle nostre famiglie,

Ø    vieni nella nostra Comunità,

Ø    vieni in questo luogo sacro, luogo di preghiera e di crescita, luogo di comunione e risurrezione.

 

Si aspetta che la statua venga collocata al suo posto e, quindi...

A te, pentiti e fiduciosi, affidiamo il corpo esanime di colui che tutto ha dato per noi, il dolce e caro Gesù!

 

Si mette il Crocifisso al collo della Madonna.

O Maria Santissima, quanto avresti voluto essere accanto al tuo Gesù: per confortarlo, asciugargli il sudore, curargli le ferite! Non ti è stato concesso. Ora, puoi dare sfogo a tutta la tua tenerezza: puoi baciargli il viso, le mani, le membra straziate. Ora puoi lavarlo con le tue lacrime.

 

Insieme si recita la seguente preghiera:

Qualche anno prima, o Maria, tra le tue brac­cia riposava un bimbo: il suo sguardo sorri­deva al tuo, il suo cuore gli batteva forte forte in petto, il suo volto era caldo contro il tuo.

Oggi, il suo sguardo si è spento, il suo cuore ha cessato di battere, il suo corpo è freddo! L'Eterno Padre ti ha chiesto il sacrificio più grande: non di offrire la tua vita, ma di dargli il figlio della tua carne, della tua anima. E non è con amore esitante, rassegnato, che presenti al Padre Colui che tieni nelle mani. Una gioia misteriosa sorge dal più profondo del tuo dolore, quella di cui aveva par­lato Gesù: «C'è più gioia nel dare che nel rice­ve­re!». Noi ti chiediamo, o Madre amata, di pregare per quelli, tra noi, che hanno perso una persona cara, per quelli che soffrono nella carne e nello spirito.

Ti affidiamo tutti i di­soccupati della nostra Comunità, chi non ha ideali, chi è demotivato e scoraggiato, chi vive come se Dio non ci fosse, chi va alla ricerca del piacere e della gioia là dove c'è soltanto dissipazione, vuoto e aridità. A noi insegna a fare, dei doni del Signore, un'of­ferta all'Eterno Padre. E che, nell'ultima nostra ora, siano le tue mani benedette che ci presen­tano al Padre!

Benedici le famiglie di tutto il mondo; fa’ che scoprano il ministero loro affidato. Aiutaci a mettere il tuo Gesù al centro della nostra vita personale, familiare e comunitaria. Aiutaci ad impegnarci, avendo come obiettivo non tanto l’avere quanto l’essere.

Aiutaci, o Maria Santissima, a crescere nella fede, nella speranza e nella carità. Aiutaci a vivere responsabilmente nella ricerca della santità.

Aiutaci a saper mettere da parte l'orgoglio e tutto ciò che ci divide:

l'arroganza, la prepotenza, la falsità, l'omertà, l'ingiustizia, il sadismo, il disfattismo, la sfiducia, i tradimenti e tutto ciò che è tenebra e opera del maligno.

Aiu­taci a costruire una Comunità nuova, una Comunità secondo il tuo volere, una Comunità in cui ci sia spazio per tutti, una Comunità in cui tutti si possano sentire ed essere protagonisti e corresponsabili. E perdonaci, perdona le mancanze di genero­sità, il nostro egoismo, la nostra dissipazione, la nostra poca fede.

Benedici il Consiglio Pastorale, gli Animatori dell’Oratorio, il Coro, le Catechiste, i Chierichetti, i Genitori, gli anziani, i nonni.

Benedici la nostra gioventù. Fa' che costruiscano un avvenire migliore. Non un avvenire ipotetico, lontano ed irraggiungibile, ma un avvenire che sia fatto di attimi presenti da vivere intensamente, gioiosamente, fraternamente e con profitto. Viva Gesù! Viva Maria!

 

Sacerdote: Nelle tue mani, o Maria, affido me, la Comunità di Francavilla e particolarmente i presenti e tutti gli ammalati ed anziani, che non hanno potuto partecipare a questa santa azione liturgica.

 

CANTO (Sparve, o Madre)

 

Francavilla Angitola, A. D. 2003

Don Pasquale Sergi

 

 TORNA ALLA PASQUA