Benvenuti nel sito di Giuseppe Pungitore, dell'ing. Vincenzo Davoli, di Mimmo Aracri ed Antonio Limardi, punto d'incontro dei navigatori cibernetici che vogliono conoscere la storia del nostro meraviglioso paese, ricco di cultura e di tradizioni: in un viaggio nel tempo nei ruderi medioevali. Nella costruzione del sito, gli elementi che ci hanno spinto sono state la passione per il nostro paese e la volontà di farlo conoscere anche a chi è lontano, ripercorrendo le sue antiche strade.

 

QUEL “COLPO” AL  SANTUARIO DI PAOLA

 Venticinque anni fa l'oltraggioso furto delle reliquie di San Francesco

Due reliquie di San Francesco che fanno parte del "bottino" mai restituito nel furto nel 1983 al Santuario di Paola

Il dolore dei devoti e il rimpianto per quei beni mai restituiti

"LA nostra epoca è ossessio­nata dal desiderio di dimenti­care ed è per realizzare tale de­siderio che si abbandona al demone della velocità". Que­sto giudizio dello scrittore ce­co Milan Kundera è illumi­nante per comprendere come mai uno dei casi che ha scosso profondamente la Calabria, con una vasta eco pure a livel­lo nazionale e internazionale, oggi sia caduto nell'oblio.

La mattina, del 3 ottobre 1983, durante il Gr2 delle 7.30, l'Italia venne destata dalla sconvolgente notizia che, durante la notte, ignoti erano penetrati nel Santuario di Paola ed avevano asportato tutte le reliquie. A1 di là, dell’ alto valore artistico di alcuni reliquiari, tra cui una croce in argento sbalzato che aveva at­tirato l'attenzione di noti stu­diosi quali il Lipinsky, Gallo e Frangipane, il fatto che aves­sero rubato le ossa del Patro­no principale della Calabria, oltre a provocare sgomento tra milioni di devoti, rappre­sentava un chiaro segnale che stava finendo un'epoca. Infatti, chi mai avrebbe potu­to immaginare che la, malavi­ta, che sino ad allora aveva di­mostrato un timore reveren­ziale verso il Santo delle "ba­stonate", si sarebbe spinta a violare così platealmente uno dei luoghi simbolo della Cala­bria?

II furto fu pianificato. Pas­sate le 21 di domenica 2 otto­bre, attraverso il diversivo di un imponente incendio fatto scoppiare sulle montagne che sovrastano il Santuario, il convento venne sguarnito di frati ed operai, di modo che la banda di ladri poté agire indi­sturbata. Neutralizzato pure il sistema d'allarme - come ciò sia avvenuto è rimasto un mi­stero -furono dapprima sega­te le sbarre della, finestra so­prastante il sepolcro del mar­chese Spinelli. Quindi, alme­no due uomini si sono calati all'interno della Cappella del Santo e, dopo aver scardinato il cancello  di ferro e la porta la­terale, hanno fatto entrare gli altri complici. Mentre hanno trovato difficoltà ad asporta­re la porticina, del tabernacolo ed il paliotto incastonato di to­pazi e di ametiste, è stato inve­ce un gioco rompere i vetri protettivi e fare man bassa dei reliquiari in argento.

Il bottino fu consistente: Furono trafugati l'urna, dal peso di 25 Kg., ove erano  custodite  le ossa di S. Francesco arrivate nel 1935 dalla Fran­cia; il mezzobusto, attributo ai primi decenni del’ 600, all'in­terno del quale vi era una frammento della, costola del Santo; una croce d'altare della, seconda metà, del XV sec.; la teca con il dente molare; tre reliquiari con indumenti (tu­nica,, cappuccio e calza); la te­ca con la corona del Rosario (1954); un reliquiario con un altro frammento osseo; le due custodie sagomate per . gli zoccoli e la lampada votiva, inaugurata il 13 ottobre 1947. Successivamente, per dileguarsi più agevolmente, nell'attiguo orto conventuale è stata fatta la selezione della refurtiva, abbandonando la base del mezzo busto e l'in­gombrante struttura in otto­ne della lampada,, ripulita de­gli ornamenti argentei, tra cui le figure muliebri rappre­sentanti le tre. province cala­bresi. Di quanto è stato rubato non è stato finora ritrovato nulla.

L'impresa lasciò tutti atto­niti, anche perché il furto era avvenuto durante le celebra­zioni per il V centenario della, partenza di S. Francesco alla, volta della Francia. Superato lo choc iniziale, Dino Trabal­zini, arcivescovo di Cosenza, e Antonio Castiglione, Supe­riore Generale dei Minimi, di­ramarono un comunicato stampa nel quale, dopo aver deprecato l'atto sacrilego, ri­volgevano questo appello ai malviventi: «Mentre ci si in­terroga sui moventi di un ge­sto così impensabile, non pos­sono fare a meno di rivolgersi ai detentori del prezioso patri­monio religioso sottratto alla devozione di milioni di perso­ne, perché diano un segno di umana sensibilità, certamen­te presente anche in loro, re­stituendo al popolo di Dio al­meno le reliquie del Santo». Ritenendo che il furto era ope­ra di un commando di specia­listi che aveva agito con fini estorsivi, attraverso questo passaggio del comunicato si voleva allacciare un contatto, mettendo in conto anche la possibilità di un'eventuale di richiesta di riscatto. Infatti, in un'intervista il padre pro­vinciale del tempo arrivò a di­chiarare: «Siamo pronti a vendere tutto quanto posse­diamo. Sono certo, pero, che in questo caso non saremmo soli. Con noi ci saranno tutti i calabresi». II contatto ci fu, ma all'appuntamento, fissato in casa di un sacerdote dell'al­to Tirreno cosentino, non si presentò nessuno. Molto ve­rosimilmente l'alta posta in gioco, il clamore suscitato della vicenda peraltro rilan­ciata anche dalla stampa este­ra, senza escludere l'interven­to di qualche uomo d'onore, avranno indotto i mandanti a rivedere i propri piani.

Di pari passo con lo svolgi­mento delle indagini, nell'an­tica Basilica fu avviato un tri­duo di riparazione e di suppli­ca per riavere le reliquie. Per venerdì 7 ottobre fu fissata una processione penitenzia­le, che fu guidata dallo stesso Arcivescovo di Cosenza. Man mano che dalla marina si sali­va verso il Santuario, la folla, iniziale di 5.000 persone andò sempre più aumentando. Giunti all'altezza dell'ex com­missariato di Polizia, mentre padre Morosini,  l’attuale ve­scovo di Locri, stava parlando sul cappuccio di S. Francesco, interrompe improvvisamen­te la sua riflessione e, con la, voce rotta dall’emozione, gri­da: «A Roma sono state trova­te parte delle reliquie di Francesco! Viva San France­sco. Sono state ritrovate le re­liquie: le ossa, il dente, il cap­puccio, la corona, la maglia, le calze, lo zoccolo. Ringrazia­mo San Francesco! Viva San Francesco!».

 In effetti, la signora Giu­seppina Bianchi, portiera al n. 19 di Via Ostiense, aveva notato in un angolo dell'an­drone una busta di plastica e, a scopo precauzionale, aveva chiamato il 113. Arrivate sul posto due volanti, gli agenti, nel sollevare la busta, hanno potuto notare che vi era attac­cato un foglio a quadretti con scritto sopra: "Reliquie di San Francesco da Paola. Fate per­venire a Paola (Cs)".

  Inimmaginabile l'esplosio­ne di gioia da parte della gen­te che, dimentica di essere in processione, di corsa sali al Santuario per esprimere il proprio ringraziamento. Do­menica 9 ottobre, espletate le formalità di rito, le ossa del Santo furono dapprima por­tate in piazza a Paola, dove da diverse ore c'era tantissima gente ad attenderle. Appena si udì il suono delle sirene, dalla folla partì un autentico boato con fuochi d’artificio, banda ed un fragoroso ed in­terminabile battimano: era fi­nito un incubo.

Terminata la messa di rin­graziamento, presieduta da monsignor Trabalzini, le os­sa, riaccompagnate a piedi dalla gente, hanno fatto il loro ingresso in Basilica, dove c'e­ra ad attenderle il compianto monsignor Tarcisio Pisani che, con l'urna contenente le reliquie ricuperate, benedì quanti erano riusciti ad en­trare dentro, mentre la mag­gior parte dovette fermarsi sul viale del Santuario.

Se la restituzione delle reli­quie ha chiuso l'aspetto più brutto di questa vicenda, è ri­masto invece tuttora aperto il capitolo sui reliquiari. Oltre alla croce quattrocentesca e al reliquiario del dente, donato nel 1680 dal correttore gene­rale dei Minimi Alfonso Lo­renzo de Pedrazza, due tra i pezzi più pregevoli a livello artistico, per avere un'idea sul valore anche storico di questi sacri arredi basterà ri­cordare che nell'elenco dei be­nefattori che contribuirono alla realizzazione dell'urna delle ossa vi figurano il papa Pio XI, che dono un anello d'o­ro con tre pietre preziose e tre grosse monete estere d'oro; unitamente ai sovrani d'Italia ed al principe Umberto che of­frirono 1.000 lire ciascuno. Proprio in considerazione della loro preziosità; è convin­zione comune che questi reli­quiari siano tuttora celati da qualche parte, in quanto se al­l' epoca fossero stati fusi al fi­ne di vendere l'argento, il ri­cavato sarebbe stato molto modesto e non avrebbe giusti­ficato un'impresa così ri­schiosa.

Può darsi che oggi, ormai soggiogati dal demone della velocità, tanti abbiano dimen­ticato, ma tra le mura conven­tuali, dove la ferita è rimasta sempre aperta e quella assen­za ogni giorno non passa inosservata, non è mai venuta meno la speranza sul possibi­le recupero almeno del mezzo­busto, dove per secoli i fedeli si sono recati a pregare il Tau­maturgo Calabrese.

Chissà se a distanza di ven­ticinque anni, potendo conta­re su quelle nuove tecnologie che sono riuscite a rendere vi­sibile chi per tanti anni si era reso invisibile, non sia final­mente giunto il momento per dare una svolta alle indagini. *rettore del Santuario

 

 “IL QUOTIDIANO”  DOMENICA 5 OTTOBRE  2008 

                                              DI  PADRE  ROCCO BENVENUTO 

 

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