Benvenuti nel sito di Giuseppe Pungitore, dell'ing. Vincenzo Davoli, di Mimmo Aracri ed Antonio Limardi, punto d'incontro dei navigatori cibernetici che vogliono conoscere la storia del nostro meraviglioso paese, ricco di cultura e di tradizioni: in un viaggio nel tempo nei ruderi medioevali. Nella costruzione del sito, gli elementi che ci hanno spinto sono state la passione per il nostro paese e la volontà di farlo conoscere anche a chi è lontano, ripercorrendo le sue antiche strade.

       

RICORDO  DEI  FRATELLI  VINCENZO  E  ANTONIO  ATTISANI

 

Nell’ultima decade di settembre, ricorrendo il primo anniversario  della morte dell’amico cantoniere provinciale, don Antonio Attisani, ci piace ricordarlo, unitamente al suo diletto fratello, Caporale Vincenzo Attisani, gloriosamente Caduto in Albania, durante la II guerra mondiale, nel corso di un aspro combattimento nel marzo 1941. L’articolo riproduce il capitolo del libro di Vincenzo Davoli, “Buone Notizie e Pronta Risposta” – Volume II, in cui si ricordano le vicende dei due fratelli sia in tempo di pace che di guerra.

 

ATTISANI      VINCENZO

Caporale di Fanteria – Caduto in Albania

 

    Vincenzo Attisani nacque a Francavilla Angitola il 4 febbraio 1920 da Domenico e da Barbara Triminì. La sua famiglia abitava in Vico III Borgo, oggi detto Via Talagone, e apparteneva al ceto medio (il padre, piccolo proprietario, era anche capo cantoniere delle strade provinciali; la madre era casalinga).  Vincenzo era il terzogenito dei figli; prima di lui erano nati Antonio (luglio 1915) ed Annita (nata nel 1918). Dopo di lui nasceva la seconda femmina, Vittoria Attisani.

    Vincenzo ebbe una fanciullezza abbastanza serena; la sua giovinezza fu invece turbata dalla morte prematura del padre Domenico, nel 1932. Alla pari di tutti i suoi coetanei fu inquadrato nelle organizzazioni giovanili fasciste, prima come “figlio della lupa” e poi come “balilla”. Crebbe come un giovane animato da buoni sentimenti, ben educato, serio, molto assennato. La morte del padre l’aveva reso consapevole che anch’egli, per quanto giovanissimo, doveva cominciare ad assumersi delle responsabilità ed aiutare fattivamente la madre Barbara ed il fratello Antonio (che in qualità di primogenito aveva assunto il ruolo di capofamiglia) a portare avanti decorosamente la famiglia Attisani. Per la sua condotta da uomo maturo e responsabile, Vincenzo era assai ben voluto non solo dai parenti, ma anche dai vicini di “ruga” e dagli altri compaesani.

    Quando, alla fine del 1937, il fratello Antonio sposò Carmela Pallone, Vincenzo stabilì sinceri legami di amicizia sia con la cognata che con la famiglia di lei. Dopo qualche tempo Antonio Attisani dovette allontanarsi da Francavilla, poiché fu richiamato sotto le armi nel Corpo dei Granatieri di Sardegna; questa volta non fu mandato a Viterbo, sede del Reggimento, ma restò a Roma per più di quaranta giorni. Rientrato quindi nella sua casa di Francavilla, Antonio Attisani si compiaceva di raccontare ai suoi familiari fatterelli curiosi ed eventi importanti a cui aveva assistito durante il suo soggiorno nella capitale.

    Egli era stato richiamato tra i suoi Granatieri e mandato in una caserma di Roma per essere addestrato, insieme ad un gruppo selezionato  e  ristretto  di  commilitoni,  a marciare  con la cadenza del “passo dell’oca” in uso  nell’esercito prussiano e poi adottato da quello tedesco. Invitato da Mussolini, Adolfo Hitler venne in Italia per una visita ufficiale dal 3 al 9 maggio 1938. A Roma il Führer scese alla stazione Ostiense, rimessa a nuovo e da poco inaugurata, giusto in previsione della venuta di Hitler.  Antonio Attisani,  inserito nel  picchetto di Granatieri  che  doveva  rendere gli onori militari al Führer  subito dopo  il suo arrivo, ebbe l’opportunità di vederlo passare a pochi passi di distanza; nessun altro francavillese riuscì mai a vedere Hitler così da vicino. Poi Antonio raccontava al fratello Vincenzo quanto spettacolare fosse stata l’accoglienza a Roma degli ospiti tedeschi in quella memorabile serata di maggio. Il corteo, aperto dalla carrozza reale dove sedevano i due Capi di Stato, cioè Re Vittorio Emanuele III e Adolfo Hitler (ma non Mussolini, che era “solo” Capo di Governo) e seguito dalle autovetture con i gerarchi nazisti, i vari Goering, Von Ribbentrop, Goebbels, attraversate le mura Aureliane presso la piramide di Caio Cestio, procedette per le terme di Caracalla, l’Arco di Costantino, il Colosseo, la Via dell’Impero, il Campidoglio per giungere infine al Quirinale (dove il  Führer alloggiò). Il corteo sfilò in uno scenario fantasmagorico; le maestose rovine di Roma imperiale ed i palazzi della Roma pontificia erano illuminati da riflettori, da bengala e dalle fiamme spettacolari che si ergevano da enormi tripodi.

    Alla madre Barbara e alle donne di famiglia, come pure al giovane Vincenzo, Antonio raccontava inoltre un episodio curioso a cui aveva partecipato in prima persona. Un giorno il nostro Granatiere venne mandato al palazzo del Quirinale per fare da scorta ad una auto- vettura che portava una giovane donna diretta ad una villa, residenza privata di casa Savoia. Espletato regolarmente il suo servizio, il nostro Antonio poi venne a scoprire di aver scortato la balia addetta allo allattamento del neonato Vittorio Emanuele, la quale riportava il principino a sua madre, la principessa Maria Josè. Il giovane Vincenzo ascoltava con interesse, con ammirazione e con orgoglioso compiaci-mento il racconto del fratello sulle sue giornate romane “memorabili”.

    Uno degli anni più lieti della breve esistenza di Vincenzo Attisani fu senza dubbio il 1939, quando nacquero i nipotini,  prima  Maria, a  febbraio, figlia della sorella Annita e di Foca Simonetti,  poi nell’ottobre il piccolo Domenico, figlio di Carmela e Antonio Attisani, che divenne particolarmente caro allo zio Vincenzo, anche perché rinnovava il nome del padre prematuramente scomparso.

    Subito dopo la nascita del piccolo Mimmo, Vincenzo fu chiamato a prestare il servizio militare di leva; venne mandato in Piemonte e nella città di Biella, famosa per le industrie laniere, fu addestrato presso il locale CAR, Centro Addestramento Reclute. Nel frattempo buona parte dell’Europa venne coinvolta   nella   II Guerra  Mondiale.  Per diversi mesi l’Italia si mantenne neutrale; poi, temendo di non partecipare  alle vittorie-lampo che  l’alleata  Germania stava collezionando, la  sera  del  10 giugno 1940  Mussolini  dichiarò guerra  alla  Francia  e all’Inghilterra.  Terminato il CAR a Biella ed inquadrato nel 53° Reggimento Fanteria, 8ª Compagnia, Vincenzo venne quindi trasferito in provincia di Torino, ai piedi delle Alpi, a Pinerolo, cittadina sede di  caserme di Alpini e di Fanteria, ma soprattutto famosa  nel mondo dell’equitazione europea per essere sede della rinomata Scuola di Cavalleria e della Scuola di Veterinaria militare e di mascalcia (cioè il corso in cui i soldati venivano addestrati a fare i maniscalchi, ossia a mettere i ferri alle zampe di cavalli, asini, muli).

    Quando l’Italia entrò in guerra, anche il fratello Antonio, del 3° Reggimento Granatieri, venne ancora una volta richiamato sotto le armi e dovette lasciare Francavilla. Poiché in casa Attisani non erano presenti maschi adulti, il nostro Vincenzo quando scriveva ai familiari si rivolgeva alla cognata Carmela per non destare allarme e preoccupazioni alla madre Barbara, ansiosa e trepidante per la sorte dei due figli soldati. In una lettera dei primi di giugno 1940 Vincenzo avvisava  i familiari di essere andato presso uno studio fotografico di Pinerolo a fare le classiche foto con l’uniforme militare. Aveva poi fornito l’indirizzo di casa in Francavilla, al quale il fotografo si sarebbe premurato di spedire copie delle foto scattate. Pur essendo acquartierato a pochi chilometri dal confine e dal fronte, Vincenzo Attisani non ebbe modo di partecipare direttamente alla guerra italo-francese. In realtà quella tra Italia e Francia fu più una guerra dichiarata che non effettivamente combattuta. Ci furono scontri molto limitati; l’Italia riuscì ad occupare una fascia di territorio molto esigua e la città di Mentone sulla Costa Azzurra. D’altronde proprio negli stessi giorni le armate germaniche stavano invadendo la Francia settentrionale e il 14 giugno entrarono addirittura nella capitale Parigi.

    Nove giorni dopo, il 23-6-40, la Francia fu costretta a firmare a Compiègne l’armistizio con la Germania.      Il giorno dopo,  24 giugno, a Roma venne firmato l’armistizio  italo-francese sottoscritto   dal  Maresciallo   Pietro Badoglio e dal plenipotenziario francese Huntziger.

    Il 27 giugno 1940 Vincenzo riceve una lettera dal fratello che si trovava a Bari con il suo Reggimento dei Granatieri; correva voce che forse sarebbe stato inviato in Albania.

    Grazie all’armistizio franco-italiano la situazione di Vincenzo era piuttosto tranquilla; in pratica nel suo 53° Rgt. Fanteria si svolgevano le consuete esercitazioni del servizio militare in tempo di pace, con campi estivi, prove di tiro e marce varie. In una lettera del 13 luglio scritta dalla caserma di Pinerolo, dopo i soliti convenevoli sulla salute sua e dei congiunti rimasti a Francavilla, Vincenzo si sofferma a raccontare di aver appena terminato una lunga marcia di addestramento assai impegnativa per il terreno montagnoso attraversato, per il percorso lungo una settantina di chilometri, per la durata di tre giorni trascorsi lontano dai centri abitati salvo il passaggio attraverso il piccolo Comune di Porte (TO). In quel periodo, poiché l’interlocutrice della sua corrispondenza era la cognata Carmela Pallone Attisani, la preoccupazione affettiva prevalente di Vincenzo era quella di sapere come andava crescendo il carissimo nipotino Mimmo, che ad ottobre del ’40 avrebbe compiuto il suo primo anno di età.

    Il periodo di “calma sospesa” terminò alla fine d’ottobre 1940, quando Ciano e Mussolini ritennero giunto il momento opportuno di muovere guerra alla Grecia. Ma, sia l’individuazione del nemico, sia la scelta dei tempi, si rivelarono subito delle mosse tragicamente sbagliate per l’Italia. A tal riguardo accenno solo pochi argomenti.

    In quegli anni in Grecia governava il Generale Metaxas, che non solo si era proclamato a vita Capo del Governo, ma aveva instaurato un regime palesemente filofascista, copiandone perfino elementi coreo-grafici come il “saluto romano” e istituendo organizzazioni come la “Neolea”, replica dei Balilla italiani; perciò, con un minimo di abilità  politica, la  Grecia  del  dittatore Metaxas   sarebbe potuta diventare un alleato dell’Asse italo-germanico. L’attacco alla Grecia fu portato avanti nell’illusione di   una  vittoria- lampo, simile a quelle già conseguite dalla Germania.  I  Tedeschi però ritenevano che la cosa più importante, su cui l’Asse si doveva impegnare in quel momento, fosse la sconfitta dell’Inghilterra; non era proprio  il  caso di aprire un altro  fronte periferico, per di più in territori accidentati, come sarebbe stato tra Albania e Grecia. Contando di fare una sorpresa, l’Italia non avvertì la Germania alla vigilia della aggressione alla Grecia.

    La campagna contro la Grecia fu affrontata con leggerezza e con superficialità  incredibili:  le Forze Armate italiane che si accinsero all’attacco erano assai insufficienti per numero di Divisioni impegnate, pativano gravi carenze sia negli armamenti che nell’equipaggiamento, incontravano inoltre seri problemi di approvvigionamento viveri e rifornimento di munizioni. Infelice fu anche la scelta del momento per avviare la campagna di guerra; l’aggressione ebbe inizio in pieno autunno, il 28 ottobre 1940. In quella regione tra Albania e Grecia è proprio la stagione di piogge e temporali violenti. Quelle strade di montagna già tortuose, erte ed accidentate nei periodi di secca, diventarono nella brutta stagione piste e torrenti pieni di fango, così da intralciare non solo l’avanzata degli autocarri pesanti e dei pezzi d’artiglieria, ma anche la marcia della fanterie, dei muli e dei cavalli. Il 18/11/1940, Mussolini, quasi per giustificarsi per non aver ottenuto quella vittoria-lampo tanto agognata, pronunciò contro la Grecia  frasi  sprezzanti  e  imprudenti,  che gli si sarebbero poi  ritorte contro: “Con certezza assoluta, ripeto assoluta, vi dico che spezzeremo le reni alla Grecia. In due o dodici mesi non importa. La guerra è appena incominciata ….Io non mollo più fino alla fine!”

     In realtà gli Italiani non nutrivano nessun sentimento di avversione contro la Grecia, anzi tra i due popoli c’erano più di due millenni di storia d’amicizia; addirittura nel primo Ottocento, tacendo del poeta Ugo Foscolo (nato a Zacinto), il patriota italiano Santorre di Santarosa era morto eroicamente a Sfacteria, combattendo per l’indipendenza  della Grecia dall’Impero turco.

    Vincenzo Attisani non prese parte alle fasi iniziali della campagna italo-greca; vi partecipò invece il fratello Antonio, il quale con i Granatieri, nel periodo antecedente allo scoppio del conflitto era stato inviato nel nord dell’Albania per presidiare il confine jugoslavo.

    Quando  fu  imminente  l’attacco  alla Grecia,  il 3° Rgt. Granatieri di Sardegna venne spostato a sud, dove, in località Delvino, fu installato sotto le tende un campo-base. I Granatieri, insieme al 6° Reggimento Cavalleggeri Aosta, a reparti di artiglieria e a truppe albanesi, forma- vano il cosiddetto Raggruppamento del litorale, poiché operarono nella zona del fronte più vicina al mar Ionio, avendo come base portuale Santi Quaranta (in albanese Sarandë) allora chiamata Porto Edda in onore di Edda Ciano, la figlia del Duce. Nei primi giorni di guerra gli Italiani avanzarono facilmente poiché i Greci non oppo-nevano nessuna resistenza; giunti però nella valle del fiume Kalamas, nell’Epiro ellenico,  furono  prima  fermati dall’esercito greco  e poi costretti a ripiegare verso l’Albania, per sfuggire agli intensi mitragliamenti  e bombardamenti dell’aviazione inglese, alleata dei Greci. Già nelle prime settimane di guerra la situazione delle armate italiane, impantanate in quelle aspre valli e montagne, si presentava assai difficile; divenne addirittura tragica dopo la rotta di Coriza (o Corcia), quando non solo si perse questa città albanese, ma si lasciò tutto nelle mani dei Greci: attrezzature aeroportuali, forni, depositi, viveri, carbu-ranti, ogni genere di rifornimento.

    Intanto Vincenzo Attisani era stato promosso Caporale del 53° Fanteria, che faceva parte della Divisione “Sforzesca” ed aveva per motto “Sento in cuor l’antica patria”. Poiché la Divisione stazionava ancora in Italia, Vincenzo ottenne una licenza per tornare a Francavilla nel periodo natalizio. Durante questa licenza, essendo il momento adatto,  la famiglia Attisani,  approfittando della presenza momentanea del giovane Vincenzo e anche per fargli festa, provvide alla tradizionale uccisione del maiale. A quasi 70 anni da queste vicende, qualche francavillese ricorda quel momento, poiché fu l’unica occasione  in cui si vide in paese Vincenzo Attisani che indossava l’uniforme militare.

    Esauriti i giorni di licenza il nostro Fante si accomiatò dai familiari e dagli amici; nessuno poteva immaginare che quella era l’ultima volta che lo vedevano in vita. Nel frattempo la situazione delle Forze Armate italiane su tutto il fronte greco-albanese rimaneva assai critica. I vari reparti venivano man mano decimati, non tanto per i morti ed i feriti in combattimento, quanto per le gravi malattie broncopolmonari e soprattutto per i tanti casi di congelamento agli arti dei poveri soldati. Per rinforzare il Corpo di spedizione e per comprensibili  ragioni  di avvicendamento delle truppe  sulle linee di fuoco, gli Alti Comandi decisero di mandare in Albania altre Divisioni, tra cui la “Sforzesca”.

    Nel mese di gennaio 1941 Antonio Attisani, Caporale dei Granatieri, mentre il suo Reggimento attaccava i Greci nella zona di Santi Quaranta e Argirocastro (Albania meridionale), venne colpito alle  spalle  e  ferito da una bomba a mano scagliata per errore da qualche suo commilitone. Subito soccorso, venne portato nell’infermeria di campo per una prima medicazione; trasportato il giorno dopo all’ospedale di Valona, fu attentamente curato e vi trascorse quasi un mese di degenza.      

    A fine gennaio, 28-1-41,  anche Vincenzo Attisani arrivò  in Albania, sbarcando al porto di Valona. Trovandosi vicini, i due fratelli  pur appartenendo a corpi armati differenti, speravano di incontrarsi. In una  lettera scritta il 22 -2-41, Vincenzo comunica ai suoi cari di essere venuto a conoscenza del ricovero di Antonio nell’ospedale di Valona; sperava perciò di poterlo incontrare. Si rammaricava di non avere  ricevuto notizie fresche da Francavilla,   e perciò temeva che alla famiglia non fossero state recapitate altre sue lettere (forse sospettava che fossero andate smarrite, distrutte o censurate).

    Degli ultimi quindici giorni di vita di Vincenzo Attisani in terra di Albania non abbiamo notizie dirette, ma,  sia dalle cronache della campagna di guerra italo-greca, sia dalla testimonianza del fratello Antonio che operava in quelle zone di combattimento, si può ricavare un quadro molto attendibile della situazione in cui venne a trovarsi il nostro Caporale.  Giunto in Albania in pieno inverno, Vincenzo venne mandato con il suo Reggimento in zona montana sul fronte chiamato linea dei Mali (in albanese la parola ”mali” significa monte) che dominava la valle del torrente Vojussa nella regione circostante il centro di Tepeleni. Dopo l’iniziale attacco degli Italiani (primi di novembre 1940), la rotta di Coriza o Corcia (22/11/1940) e la successiva  controffensiva dei Greci, i due eserciti si erano fermati e stavano conducendo in quelle aspre montagne albanesi una guerra di posizione. Per le truppe italiane, asserragliate in quelle scoscese contrade, abbarbicate agli spuntoni di roccia, oppure sprofondate nella neve, il nemico più terribile non era l’esercito greco ma piuttosto le rigide condizioni climatiche. La resistenza dei soldati era messa a dura prova dal gelo e dalla neve; le divise e gli scarponi si strappavano facilmente e andavano a pezzi, cosicché i lembi di pelle scoperta erano ricoperti dalla neve che cadeva.  Quando il vento, la neve, il gelo infuriavano, mani e piedi congelavano e rischiavano di andare in cancrena. Quando la temperatura saliva di alcuni gradi, allora il fango diventava il nemico più perfido,  poiché  ostacolava  i rifornimenti dalle retrovie alla prima linea. I muli non riuscivano a salire dalle vallate, spossati dagli sforzi di liberarsi dal fango che in certi punti era così spesso che quasi li inghiottiva. Le poche truppe fresche che venivano dall’Italia, come il Reggimento di V. Attisani, per dare il cambio ai reparti superstiti che operavano ininterrottamente sul fronte sin dall’inizio delle ostilità, sovente arrivavano in prima linea già stremate, equipaggiate con mezzi inadeguati e con scarsi armamenti e munizioni.

    Dopo la degenza nell’ospedale di Valona anche il fratello Antonio venne rimandato al fronte in alta montagna, dalle parti di Tepeleni; per meglio resistere ai rigori del clima Antonio Attisani ricorda che di notte si ingegnava a fare una specie di saccopelo, costituito da un telo di tenda ripiegato di sotto come materassino, e  da un altro  telo messo di sopra come coperta, che veniva quasi sempre cosparso dalla neve che di notte cadeva.  La guerra  si protrasse in questo modo fino ai primi di marzo 1941, allorquando Mussolini cominciò a scalpitare desiderando ardentemente che il nostro esercito sfondasse finalmente il sistema difensivo nemico e invadesse la Grecia, anticipando i Tedeschi che si apprestavano ad occupare la Jugoslavia e i Paesi Balcanici. Addirittura il Duce volò in Albania pilotando personalmente un trimotore da Bari a Tirana; poi con un nutrito corteo di gerarchi fascisti si spostò  in montagna a 800 metri di quota, sul Komarit, un ottimo punto da cui avrebbe potuto osservare le fasi iniziali dell’attacco italiano. Accontentando Mussolini, all’alba del 9 marzo un fuoco d’artiglieria veramente intenso (centomila colpi sparati in un paio d’ore) preparò l’offensiva delle fanterie che cominciarono a muoversi verso le 8,30. Gli Italiani combattevano secondo le modalità della I Guerra Mondiale, con assalti e lanci di bombe a mano; l’avanzata fu assai lenta; non ostante l’impeto e le perdite italiane elevate, il fronte greco fu solo scalfito da alcune brecce ma non venne sfondato. A pochi chilometri di distanza dalla postazione di Mussolini anche il 53° Rgt., con il Caporale V. Attisani, partecipò all’attacco. Purtroppo il nostro fante, sùbito nel primo giorno dell’offensiva, il 9 marzo 1941, combattendo sui monti di Mali Scendeli (regione di Tepeleni) morì poiché fu colpito da “palla di mitraglia al mediastino”, cioè al centro del torace. La salma del povero Caduto fu recuperata e venne sepolta presso il villaggio di Cascisti, nella tomba n° 26 del cimitero di guerra. L’atto di morte, compilato dall’ufficiale d’amministrazione del Rgt., cita come testi della sua morte e successiva sepoltura il Sottotenente medico dr. Giovanni Pugliatti (che appurò con appropriati termini clinici la causa della mortale ferita) e il Cappellano Don Ettore Gramigni. È presumibile perciò che il Cappellano abbia quanto meno proceduto alla benedizione della salma. La notizia della sua morte in combattimento arrivò molto rapidamente a Francavilla, dove suscitò grande costernazione e rimpianto tra quanti conoscevano il povero Vincenzo. Ma terribile fu l’impatto della ferale comunicazione alla famiglia Attisani, perché allora in casa erano presenti solo donne (la mamma Barbara, le sorelle Annita e Vittoria, la cognata Carmela); purtroppo non c’era nessun uomo adulto di famiglia, che, in quella tragica circostanza,  potesse  essere di sostegno e di conforto  per  queste  povere donne  che si sentivano come smarrite e abbandonate. Peraltro ci furono molte ca-lorose manifestazioni di cordoglio alla famiglia da parte di amici, parenti ed autorità. Giusto un mese dopo la sua morte, il 9 aprile ‘41, il “Giornale d’Italia” ne commemorò il sacrificio con il seguente articolo:

    “Albo di Gloria – Vincenzo Attisani – Francavilla commossa ma fiera ha tributato le estreme onoranze al suo secondo figlio immolatosi sul fronte greco per la maggior grandezza di Roma eterna. Non ancora ventenne Attisani Vincenzo fu Domenico con tutta la veemente passione della sua anima calabrese ha saputo aggiungere una foglia di lauro al mistico serto dei nostri eroi immortali. Nel nostro cuore, in fondo all’anima nostra il tuo ricordo, o adolescente glorificato, come quello dei nostri Caduti di ieri e di oggi, resterà vivo per sempre”.  

    Insieme all’articolo venne stampata la foto del Caporale Caduto.

Anche  se non ne viene  indicato il nome, il “secondo figlio immolatosi sul fronte greco”, a cui fa cenno il necrologio, è sicuramente  Vincenzo Triminì (cugino primo di Attisani, in quanto figlio di Giuseppe, fratello di Barbara Triminì). Triminì era morto il 20/1/1941 all’ospedale di Siena dov’era stato trasportato per tentare di salvarlo, dopo aver contratto  una grave forma di congelamento in Albania sul fronte italo-greco.

     Il  fratello  Granatiere,  Antonio  Attisani,   rimasto  a  combattere in   Albania, venne a conoscenza della morte di Vincenzo con un certo ritardo. Comunque nel mese di aprile 1941 il suo Reggimento, a fianco dei Tedeschi, partecipò all’invasione del territorio greco; nel giugno del ’41 Antonio Attisani arrivò nella capitale, Atene.

    La campagna della guerra italo-greca, per altro combattuta prevalentemente in territorio albanese, si concluse con un bilancio assai negativo per l’esercito italiano: vi parteciparono oltre 250 mila uomini, alla fine si contavano circa 18 mila militari morti, 25 mila dispersi, 50 mila feriti e 12 mila congelati.

 

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  Nel 1942 la figura del Caporale Vincenzo Attisani fu Domenico “Caduto in combattimento sul fronte greco-albanese il 9 marzo 1941 – anno XIX dell’Era Fascista”, venne menzionata sul Bollettino n° 353 “Giovinezza Fascista”, Anno XX, che riportava i nominativi  dei militari  morti in guerra. Conclusa la guerra, iniziò in Italia la fase di ricostruzione e di risanamento dei danni e delle ferite materiali  arrecate  dal  conflitto  mondiale. Rimanevano invece vive e pungenti le sofferenze morali delle famiglie dei tanti Caduti, dei dispersi e di quei vivi ancora prigionieri in terre lontane.

    La madre Barbara Triminì Attisani, unitamente ai suoi congiunti, desiderava tanto che le spoglie di Vincenzo tornassero al paese natale.Purtroppo questa loro legittima aspirazione fu ostacolata dalla politica d’isolamento nei confronti di tutti gli Stati europei instaurata in Albania dal regime poliziesco comunista di Enver Hoxha. Finalmente dopo oltre  23 anni di  attesa  ci  fu l’autorizzazione a riesumare  la salma del Caduto dal cimitero di Cascisti per trasferirla in madrepatria.

    Il 23 giugno 1964 un picchetto d’onore di militari portò a Francavilla Angitola le spoglie del Caporale Vincenzo Attisani, racchiuse in una piccola cassa.  All’inizio del paese la cassetta fu consegnata ai famigliari, i quali decisero che la persona più indicata per portarla fino alla chiesa parrocchiale fosse Vincenzo Attisani, omonimo e nipote del Caduto, in quanto figlio secondogenito del fratello Antonio.     

In  una’atmosfera di grande commozione, il giovane nipote Vincenzo, assai emozionato ma fiero e orgoglioso dell’incarico ricevuto, sorreggendola amorevolmente sulle sue braccia, portò la cassetta alla chiesa di San Foca, accompagnato dalla folla dei compaesani. Nel corteo che procedeva  lungo  il  corso  del  paese  si distinguevano due file di ragazze guidate dalle Suore che allora reggevano l’asilo.                                                                          

Le esequie solenni furono celebrate dall’ Arciprete Don Vincenzo Condello.   Erano presenti tutti i congiunti di Vincenzo Attisani compresi i nipoti nati dopo la sua morte. Era però assente il nipote più caro, Mimmo, perché proprio quel giorno doveva sostenere un esame impegnativo alla Facoltà di Ingegneria di Roma.009 Ma sicuramente ci fu qualcuno che pregò che dal cielo lo zio Vincenzo guidasse il nipote Mimmo a superare quella prova di esame.

010    Riportato nel suo paese natale, il Caporale Vincenzo Attisani è stato tumulato in un loculo della cappella di famiglia secondo la volontà dei suoi cari.

 

               

                                                                

 

  ING.  VINCENZO DAVOLI

 

                                                                                                                                          

Per maggiori informazioni scrivere a: phocas@francavillaangitola.com